Il singolo può agire in difesa delle parti comuni
Il singolo condomino ha il potere di agire a difesa “non solo dei suoi diritti di proprietario esclusivo, ma anche dei suoi diritti di comproprietario “pro quota” delle parti comuni, con la possibilità di ricorrere all’autorità giudiziaria nel caso di inerzia dell’amministrazione del condominio, a norma dell’art. 1105 Codice civile. (Tribunale amministrativo regionale della Sardegna, con Sentenza del 05 giugno 2017 n° 278)
=> Apertura finestra in condominio e autorizzazione
In fatto.Tizio, quale proprietario di un immobile, ubicato all’interno del complesso condominiale denominato cagliaritano, è venuto a conoscenza, a seguito di accesso agli atti, che il proprio vicino aveva presentato all’Amministrazione comunale domanda di accertamento di conformità volta a sanare alcuni abusi edilizi, e che la relativa istanza fosse stata accolta con la concessione in sanatoria.
Tizio, pertanto, ha impugnato il provvedimento avanti al TAR competente affermando che trattasi di opere insanabili, consistenti nell’ampliamento e nel prolungamento di una preesistente veranda scoperta in pregiudizio del giardino di proprietà condominiale, oltre che nella realizzazione di una stabile copertura di detta veranda, sostenuta da pilastri in pietra e da una grossa trave portante infissa nel muro di confine del vicino appartamento del ricorrente. Opere che sarebbero state eseguite senza concessione edilizia e senza autorizzazione da parte dell’assemblea del condominio, posto che l’area condominiale in questione risulta concessa solamente in uso ai condomini ed espressamente destinata a “giardino” dal regolamento del condominio.
Nell’instaurato giudizio amministrativo, si sono poi costituiti i condòmini controinteressati, e cioè coloro che avevano realizzato le opere ritenute “abusive”, i quali hanno chiesto, in linea principale, che il ricorso sia respinto per difetto di legittimazione ad agire del ricorrente.
La sentenza. Il Tribunale amministrativo regionale della Sardegna, con Sentenza del 05 giugno 2017 (nr 278), ha definitivo i confini della legittimazione ad agire del singolo condòmino avverso il contenuto di atti amministrativi potenzialmente lesivi degli interessi comuni.
In effetti, Tizio agisce in giudizio (anche) in ragione della sua posizione giuridica di condomino che fa valere i diritti sulla cosa comune. Come accennato, infatti, il ricorrente afferma che le opere abusivamente realizzate, e oggetto di accertamento in conformità, occupano una porzione di area condominiale. Ne deriva che il singolo condomino, secondo l’orientamento ormai consolidato della giurisprudenza della Cassazione, ha il potere di agire a difesa “non solo dei suoi diritti di proprietario esclusivo, ma anche dei suoi diritti di comproprietario “pro quota” delle parti comuni, con la possibilità di ricorrere all’autorità giudiziaria nel caso di inerzia dell’amministrazione del condominio, a norma dell’art. 1105 C.C., dettato in materia di comunione, ma applicabile anche al condominio degli edifici per il rinvio posto dall’art. 1139 C.C. […]” (così Cass. civ., Sez. II, 16 dicembre 2015, n° 25288, ed ivi ulteriore giurisprudenza conforme).
Sul punto deve essere ulteriormente chiarito che il profilo della appartenenza del diritto di proprietà sull’area è sollevato dal ricorrente esclusivamente quale questione pregiudiziale da affrontare e risolvere nel corso dell’esame dei vizi di legittimità degli atti impugnati (come si vedrà meglio più avanti).
Pertanto, deve essere applicata la regola espressa dall’art.8 del codice del processo amministrativo che estende la cognizione incidentale del giudice amministrativo, in sede di giurisdizione di legittimità, a “tutte le questioni pregiudiziali o incidentali relative a diritti, la cui risoluzione sia necessaria per pronunciare sulla questione principale“; questioni che vengono decise “senza efficacia di giudicato” (si vedano sul punto Cons. St., VI 10 maggio 2013, n. 2544; sez. IV, 14 maggio 2014, n. 2484; V, 15 luglio 2016, n. 3156).
Pacifico, quindi, che di area condominiale si tratta e che ogni condòmino è in grado di impugnare gli atti amministrativi che autorizzano simili opere, occorre adesso esaminare se un ente locale possa concedere una sanatoria di opere abusive in assenza di autorizzazione condominiale.
Ora, la giurisprudenza di legittimità è costante nel ritenere che non possa essere concessa alcuna sanatoria ove l’abuso sia stato realizzato dal singolo condomino su aree comuni, in assenza di ogni elemento di prova circa il consenso degli altri comproprietari (in tal senso, di recente, si veda Cons. St., sez. IV, 25 settembre 2014, n. 4818).
Anche sotto tale ulteriore e nevralgico profilo, l’azione è stata accolta, e, per l’effetti, il provvedimento amministrativo impugnato revocato e privato di ogni effetto.
In conclusione. Con la sentenza in disamina si è finalmente messo a punto il confine di legittimazione di ciascun condòmino nel porre in essere atti conservativi sulle parti comuni, laddove si concretino nell’impugnazione dei provvedimenti concessi in sanatoria in favore dei propri vicini.
Dall’altra parte, il TAR ha puntualizzato che ogni amministrazione locale, nel rilascio dei titoli edilizi deve sempre acquisire gli atti di autorizzazione provenienti da parte dell’assemblea condominiale.
Diversamente operando, l’amministrazione comunale finirebbe per legittimare una sostanziale appropriazione di spazi condominiali da parte del singolo condomino, in presenza di una possibile volontà contraria degli altri.
In tal caso, quest’ultimi sono – e, in quanto tale, devono ritenersi – sempre legittimamente interessati all’eliminazione dell’abuso, e tanto non solo con azioni privatistiche, ma anche in via amministrativa.